QUANDO IL RIMEDIO E’ PEGGIORE DEL MALE …. L’ASSOLUZIONE DIVENTA DEFINITIVA PER UN ERRORE PROCEDURALE
Quando mi fermo a riflettere sul concetto di violenza di genere e voglio esprimerlo con un termine, quello che mi viene da pronunciare, senza se e senza ma, è ingiustizia. Alle donne che si rivolgono a me, in preda alle paure più profonde, metto in gioco tutta l’esperienza, abilità e competenza per infondere fiducia in quella giustizia per la quale non accetto compromessi da sempre. E cosi ad una donna maltrattata, umiliata, privata della dignità, utilizzata come un qualsivoglia oggetto per togliersi le voglie, mi sono ritrovata a dire: “ tranquilla, abbi fiducia nella giustizia” e non è una frase di circostanza ma un karma perchè veramente ci credi. E come un pugno sui denti arriva la sentenza di primo grado che legittima il turpiloquio, la violenza, perchè quando due non vanno d’accordo le parolacce e le umiliazioni che lui, e solo lui, fa a lei sono legittime. Dopotutto la signora non era proprio così sprovveduta…. ha tentato di difendersi dall’aggressione fisica agitando un matterello di legno mentre lui le spezzava un braccio. Quest’assurdità la leggo con un vuoto, con l’incredulità di chi non ritiene sia possibile che quelle parole siano state scritte. E lei? Lei inizia il suo viaggio mentale pessimista, normale per l’accaduto: non gli faranno niente, mi toglieranno la figlia e lui l’avrà vinta …la giustizia non esiste! Come biasimarla? Eppure raduno forza e concentrazione e cerco di farle cambiare idea e le dico che non è finita, che chiederemo al Pubblico Ministero di fare appello perchè….. la Giustizia esiste! E così la ricevo in studio, perchè il sorriso non si può donare al telefono, finalmente una buona notizia e che la farà sperare …. il pubblico Ministero ha fatto appello Evvai! Nel suo sguardo si riaccende una scintilla rosa, tiepida, ma pur sempre una scintilla di speranza. Ed arriva il giorno dell’udienza, il cuore a mille per quel senso di riscatto che non può mancare. Le parole si sprecano nell’aula, gli sguardi pure e quella mezz’ora che ci separa dalla sentenza sembra un’eternità e poi…… un minuto, nero come la pece: il ricorso è inammissibile. Eh niente, la Procura ha sbagliato a scrivere e si è dimenticata i pezzi. Questa è la spiegazione maccheronica che ho dato a quella donna che non mi crede più, non crede più nello Stato e non crede più che potrà essere ascoltata e soprattutto creduta, derisa dai silenziosi sguardi vittoriosi di lui che sembrano ricordarle “ dove credevi di andare? “ La scintilla si è definitivamente spenta e quelle poche parole “ chi me lo ha fatto fare… se lo avessi saputo” mi danno la misura di quanto in alcuni casi la dea bendata sotto la benda è completamente cieca.
Il rimedio a volte è peggiore del male.