Il femminicidio è reato autonomo: cosa cambia davvero?/
Il femminicidio è reato autonomo: cosa cambia davvero?
Il 23 luglio 2025 il Senato ha approvato all’unanimità una legge che introduce il reato autonomo di femminicidio nel nostro codice penale. Un passaggio definito da molti “storico”, che ora attende solo il via libera definitivo della Camera.
Ma cosa cambia davvero? E soprattutto: sarà sufficiente?
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Un nuovo articolo nel codice penale
La novità più rilevante è l’introduzione dell’articolo 577-bis c.p., che definisce il femminicidio come l’uccisione di una donna motivata da odio, discriminazione, desiderio di controllo o rifiuto di una relazione.
Chi commette questo reato potrà essere punito con l’ergastolo, e si applicheranno tutte le aggravanti già previste per l’omicidio volontario.
In parallelo, la legge rafforza altre tutele:
Audizione obbligatoria della vittima nei casi di violenza (non più delegabile).
Informazioni obbligatorie alle vittime o ai familiari su scarcerazioni o benefici.
Accesso più ampio ai fondi per gli orfani di femminicidio.
Obbligo di formazione specifica per magistrati e forze dell’ordine.
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Un passo avanti, ma non ancora una svolta
Da cittadina, da donna e da professionista del diritto, accolgo con favore l’introduzione di un reato autonomo. Dare un nome a ciò che accade è importante. Dare una cornice giuridica chiara lo è ancora di più.
Ma non basta.
Perché la violenza contro le donne non nasce nei tribunali, e nemmeno nelle aule del Parlamento. Nasce molto prima: nei linguaggi, nei silenzi, nei modelli familiari, nei commenti minimizzanti, nella cultura patriarcale ancora radicata in tanti spazi della nostra società.
Una legge che punisce chi ha già ucciso arriva sempre troppo tardi.
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Dubbi e criticità
Alcuni aspetti del testo approvato dal Senato meritano una riflessione più profonda:
Come si dimostra che una donna è stata uccisa “in quanto donna”? La definizione è ampia e giusta, ma rischia di essere difficile da applicare nei tribunali se mancano elementi probatori chiari.
Il rischio di una legge simbolica. Senza investimenti veri su educazione, prevenzione, servizi sociali, sostegno abitativo e psicologico per le vittime, la norma rischia di essere un “simbolo” più che uno strumento di cambiamento.
La lentezza della giustizia. Le misure di protezione, per quanto previste sulla carta, spesso arrivano tardi o non vengono applicate. Le procure sono sovraccariche, i centri antiviolenza sottofinanziati. E intanto, le donne continuano a morire.
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Serve un cambio di paradigma
Punire è giusto. Ma prevenire è urgente. E prevenzione significa scuola, formazione, cultura, educazione affettiva e sessuale, indipendenza economica delle donne, supporto ai minori, case rifugio vere, operatori formati.
Siamo a un bivio: possiamo accontentarci di una norma severa oppure cogliere l’occasione per ripensare tutto il sistema. Non serve una legge forte, serve una società giusta.
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E tu, cosa ne pensi?
Ti invito a commentare qui sotto: secondo te questa legge rappresenta una vera svolta? Oppure rischia di essere solo un altro titolo a effetto?





