Il Linguaggio Sessista negli Atti Giudiziari: Una Questione di Giustizia e Dignità Istituzionale – Avv. Concetta Sannino

Il Linguaggio Sessista negli Atti Giudiziari: Una Questione di Giustizia e Dignità Istituzionale

La questione del linguaggio sessista negli atti giudiziari rappresenta una delle sfide più delicate e complesse del diritto contemporaneo, intersecando profili di tutela dei diritti fondamentali, deontologia professionale e credibilità istituzionale. L’analisi di questa problematica richiede un approccio multidisciplinare che consideri non solo gli aspetti normativi e giurisprudenziali, ma anche le implicazioni culturali e sociali che il linguaggio giudiziario produce nella percezione della giustizia da parte dei cittadini.

Particolarmente significativo è il principio secondo cui “le espressioni utilizzate negli atti processuali, pur se inserite nel contesto di una strategia difensiva, sono da considerarsi sconvenienti ed offensive quando non risultano funzionali all’esposizione della tesi giuridica né costituiscono un mezzo accettabile per incidere sul convincimento del giudice, ma appaiono animate da una mera volontà offensiva nei confronti della controparte, non bilanciata da un profilo di attinenza, anche indiretta, con la materia controversa”.

Questo orientamento stabilisce un criterio fondamentale: la funzionalità delle espressioni rispetto alle esigenze processuali. Quando il linguaggio utilizzato non serve a sostenere una tesi giuridica ma appare motivato da intenti meramente offensivi, esso travalica i limiti della correttezza processuale.

Il linguaggio sessista negli atti giudiziari assume particolare gravità perché può configurare una forma di discriminazione indiretta: “sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell’altro sesso”.

L’utilizzo di un linguaggio che rifletta stereotipi di genere o che minimizzi la violenza contro le donne può infatti creare una “posizione di particolare svantaggio” per le vittime di violenza di genere, compromettendo l’effettività della tutela giudiziaria.  La normativa prevede  specifiche tutele contro la vittimizzazione secondaria, definita come “ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne”.

Il linguaggio sessista utilizzato negli atti giudiziari può configurare una forma di vittimizzazione secondaria, in quanto comporta un ulteriore pregiudizio per la persona che ha già subito una discriminazione o una violenza di genere. Questo fenomeno è particolarmente grave perché proviene dalle stesse istituzioni chiamate a garantire la tutela dei diritti fondamentali.

Queste disposizioni dimostrano la consapevolezza del legislatore circa la necessità di adottare approcci specifici nei procedimenti che coinvolgono violenza di genere, approcci che dovrebbero estendersi anche al linguaggio utilizzato negli atti giudiziari.

La Giurisprudenza sui Doveri di Correttezza dei Magistrati

La questione del linguaggio utilizzato dai magistrati è stata affrontata dalla giurisprudenza disciplinare.  Gli Ermellini hanno stabilito che “l’accertamento dell’attitudine offensiva delle espressioni utilizzate da un magistrato nei confronti dei colleghi costituisce valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità quando sorretto da motivazione congrua, esaustiva ed esente da vizi logici”.

La Corte ha precisato che “la valutazione della scorrettezza delle frasi pronunciate da un magistrato deve essere condotta attraverso l’analisi del tenore complessivo delle espressioni nel contesto dell’intera condotta tenuta dal soggetto, con particolare riguardo all’elemento soggettivo e all’effettiva volontà del dichiarante”.

Questo orientamento, pur riferendosi ai rapporti tra magistrati, stabilisce principi applicabili anche al linguaggio utilizzato nei confronti delle parti processuali. La valutazione deve considerare non solo il tenore letterale delle espressioni, ma anche il contesto e l’elemento soggettivo.

Il Linguaggio Sessista come Ostacolo all’Accesso alla Giustizia

Il linguaggio sessista negli atti giudiziari non rappresenta solo una questione di correttezza formale, ma può costituire un vero e proprio ostacolo all’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza. Quando le decisioni giudiziarie utilizzano espressioni che riflettono stereotipi di genere o che minimizzano la gravità della violenza subita, si crea un effetto deterrente che può scoraggiare altre vittime dal rivolgersi alla giustizia.

Questo fenomeno è particolarmente grave perché la violenza domestica è già caratterizzata da un elevato numero oscuro, dovuto alle difficoltà delle vittime nel denunciare i fatti subiti. L’utilizzo di un linguaggio inappropriato da parte delle istituzioni giudiziarie può aggravare questa situazione, compromettendo l’efficacia delle politiche di contrasto alla violenza di genere.

La questione del linguaggio sessista negli atti giudiziari evidenzia la necessità di una formazione specifica dei magistrati sui temi della violenza di genere e degli stereotipi. È essenziale che i magistrati acquisiscano consapevolezza dell’impatto che il linguaggio utilizzato può avere non solo sull’esito del singolo procedimento, ma anche sulla percezione sociale della giustizia e sulla fiducia delle vittime nelle istituzioni.

La formazione dovrebbe includere non solo gli aspetti giuridici, ma anche quelli psicologici e sociologici della violenza di genere, per consentire ai magistrati di comprendere le dinamiche specifiche di questi fenomeni e di utilizzare un linguaggio appropriato nella valutazione delle prove e nella redazione delle decisioni.

L’esperienza di altri ordinamenti suggerisce l’utilità di adottare linee guida specifiche per l’utilizzo di un linguaggio appropriato nei procedimenti che coinvolgono violenza di genere. Tali linee guida dovrebbero prevedere:

  1. L’evitamento di espressioni che possano essere percepite come minimizzanti la violenza subita o che riflettano stereotipi di genere;
  2. L’utilizzo di un linguaggio neutro e rispettoso della dignità delle persone coinvolte;
  3. La particolare attenzione alle difficoltà linguistiche e culturali delle vittime straniere;
  4. Il riconoscimento delle specificità della violenza domestica nella valutazione delle prove;
  5. La sensibilità verso le dinamiche psicologiche che caratterizzano i rapporti violenti.

Il linguaggio utilizzato negli atti giudiziari non è una questione meramente tecnica, ma riflette i valori e i principi dell’ordinamento giuridico. Quando i magistrati utilizzano espressioni che riflettono stereotipi di genere o che minimizzano la violenza contro le donne, non compromettono solo l’efficacia della tutela giudiziaria, ma anche la credibilità delle istituzioni democratiche.

La responsabilità istituzionale richiede che i magistrati siano consapevoli dell’impatto sociale delle loro decisioni e utilizzino un linguaggio che sia coerente con i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione. Questo è particolarmente importante nei procedimenti per violenza di genere, dove le vittime si trovano spesso in condizioni di particolare vulnerabilità.

La questione del linguaggio sessista negli atti giudiziari apre importanti prospettive di riforma. È necessario considerare l’introduzione di specifiche disposizioni normative che disciplinino il linguaggio utilizzato dai magistrati, analogamente a quanto già previsto per le parti e i loro difensori.

Inoltre, potrebbe essere utile prevedere meccanismi di controllo e di sanzione per i casi più gravi di utilizzo di linguaggio inappropriato, nonché l’obbligo di motivare specificamente le decisioni che riguardano la valutazione dell’attendibilità delle vittime di violenza di genere.

La lotta contro il linguaggio sessista negli atti giudiziari non può essere affidata solo alle istituzioni, ma richiede il coinvolgimento attivo della società civile. Le associazioni per i diritti delle donne, gli ordini professionali e le organizzazioni della società civile hanno un ruolo importante nel monitorare l’utilizzo del linguaggio negli atti giudiziari e nel promuovere iniziative di sensibilizzazione e formazione.

È importante che si sviluppi una cultura della responsabilità linguistica che coinvolga tutti gli operatori del diritto, nella consapevolezza che il linguaggio utilizzato negli atti giudiziari ha un impatto che va oltre il singolo procedimento e influenza la percezione sociale della giustizia.

Per concludere:

Il linguaggio sessista negli atti giudiziari rappresenta una questione di fondamentale importanza per la tutela dei diritti delle donne e per la credibilità delle istituzioni democratiche. L’analisi del quadro normativo e giurisprudenziale evidenzia l’esistenza di principi e strumenti che possono essere utilizzati per contrastare questo fenomeno, ma anche la necessità di un impegno più sistematico e consapevole da parte di tutti gli operatori del diritto.

La giurisprudenza ha sviluppato criteri importanti per la valutazione delle espressioni offensive negli atti processuali, stabilendo che tali espressioni sono inaccettabili quando non sono funzionali alle esigenze processuali ma appaiono animate da intenti meramente offensivi. Questi principi dovrebbero orientare anche la valutazione del linguaggio utilizzato dai magistrati, che hanno una responsabilità particolare nel garantire la dignità del processo e la tutela dei diritti fondamentali.

La questione assume particolare rilevanza nei procedimenti per violenza domestica e di genere, dove l’utilizzo di un linguaggio inappropriato può configurare una forma di vittimizzazione secondaria e compromettere l’efficacia della tutela giudiziaria. È essenziale che i magistrati acquisiscano consapevolezza delle specificità di questi fenomeni e utilizzino un linguaggio che sia coerente con i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione.

La lotta contro il linguaggio sessista negli atti giudiziari richiede un approccio sistemico che includa la formazione dei magistrati, l’adozione di linee guida specifiche, il coinvolgimento della società civile e, se necessario, interventi normativi mirati. Solo attraverso un impegno costante e consapevole sarà possibile garantire che la giustizia sia realmente al servizio di tutti i cittadini, senza discriminazioni di genere.

Il caso che ha coinvolto Lucia Regna, al di là delle sue specificità, rappresenta un’occasione per riflettere su questi temi e per promuovere un dibattito costruttivo sulla necessità di utilizzare un linguaggio appropriato negli atti giudiziari. La strada verso una giustizia più equa e sensibile alle questioni di genere passa anche attraverso la consapevolezza che le parole hanno un peso e che il linguaggio utilizzato dalle istituzioni può contribuire a perpetuare o a contrastare gli stereotipi che ostacolano l’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza.

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