Quando la Giustizia Fallisce: Il Caso di Macerata e il Tradimento delle Vittime di Violenza Sessuale
Il 28 novembre 2022, il Tribunale di Macerata ha pronunciato una sentenza che rappresenta un drammatico esempio di come il sistema giudiziario possa fallire nel proteggere le vittime di violenza sessuale. L’assoluzione di Claudio Bravi, accusato di aver violentato una diciassettenne islandese, non è solo un errore giudiziario: è il simbolo di una cultura giuridica ancora intrisa di pregiudizi e stereotipi che colpevolizzano la vittima invece di tutelare i suoi diritti.
La sentenza del Tribunale di Macerata presenta gravi lacune metodologiche che contrastano con i principi giurisprudenziali consolidati dalla Cassazione. Come stabilito dalla Suprema Corte, “le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto”. Il Tribunale di Macerata ha invece operato una valutazione viziata da stereotipi e pregiudizi, ignorando completamente che “costituisce errore logico la standardizzazione dei comportamenti della vittima di abusi sessuali, dovendo il giudice considerare che le reazioni manifestate da chi ha subito un abuso sessuale non sempre rispondono a criteri di razionalità”.
La giovane islandese ha subito quello che gli esperti definiscono “vittimizzazione secondaria”: il processo stesso è diventato una seconda violenza. Il Tribunale ha messo sotto accusa non l’imputato, ma la vittima, scrutinando ogni suo comportamento con un metro di giudizio che tradisce una mentalità patriarcale e colpevolizzante.
La sentenza critica la ragazza per aver accettato di uscire con ragazzi “pressoché sconosciuti”, per essersi appartata in un luogo isolato, per non aver gridato abbastanza forte. Questo approccio è profondamente sbagliato e contrasta con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità. Per consolidata opinione giurisprudenziale, nell’accertamento dei reati sessuali “l’accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi”.
Tre possono dirsi gli errori metodologici della sentenza di Macerata : La sottovalutazione delle prove mediche: Il Tribunale ha minimizzato le lesioni ecchimotiche documentate fotograficamente e refertate dai sanitari, riducendole a semplici “succhiotti”. Questa interpretazione ignora che, come stabilito dalla giurisprudenza consolidata, anche i segni di suzione possono essere compatibili con una violenza sessuale quando inseriti in un contesto di costrizione. 2. L’interpretazione distorta del comportamento della vittima: La sentenza critica la giovane per non aver pronunciato la parola “ape” concordata con l’amica, ignorando che le vittime di violenza sessuale spesso si trovano in uno stato di shock che impedisce reazioni razionali. E’ pacifico che “il dissenso della persona offesa può manifestarsi anche attraverso la completa immobilità durante l’atto sessuale, costituendo tale comportamento inequivoca espressione della mancanza di consenso”. 3. La mancata considerazione del contesto di vulnerabilità : Il Tribunale non ha adeguatamente considerato che la vittima era una minorenne straniera, in un paese di cui non conosceva bene la lingua, in una situazione di evidente vulnerabilità, elementi questi previsti dall’art. 609 bis C.P. che punisce chi “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”.
Questa sentenza invia un messaggio devastante a tutte le vittime di violenza sessuale: se non ti comporti secondo gli stereotipi di come “dovrebbe” reagire una vittima “perfetta”, non sarai creduta. Se accetti di uscire con qualcuno, se non gridi abbastanza forte, se non opponi una resistenza fisica estrema, la colpa sarà tua. Questo approccio contrasta radicalmente con l’evoluzione del diritto penale moderno, che ha superato la concezione della violenza sessuale come reato contro la morale per riconoscerla come grave lesione della libertà e dignità della persona. In forza di tale principio “costituiscono indebita intrusione fisica nella sfera sessuale non solo i toccamenti delle zone genitali, ma anche quelli delle zone ritenute erogene dalla scienza medica, psicologica ed antropologico-sociologica”.
Fortunatamente, la sentenza di primo grado è stata modificata in sede di appello. Questo dimostra che il sistema giudiziario, pur con i suoi limiti, può ancora correggere gli errori più gravi. Tuttavia, il danno alla vittima e il messaggio negativo inviato alla società rimangono.
Casi come quello di Macerata evidenziano la necessità urgente di una riforma culturale del sistema giudiziario. I magistrati devono essere formati sui meccanismi psicologici della violenza sessuale, sui traumi che essa comporta e sulle reazioni tipiche delle vittime. Non è accettabile che nel 2022 si continui a giudicare le vittime con parametri ottocenteschi. La normativa processuale prevede già strumenti di tutela per le vittime vulnerabili, ma è evidente che la loro applicazione pratica è ancora inadeguata.
La sentenza del Tribunale di Macerata rappresenta tutto ciò che non dovrebbe essere la giustizia in un paese civile. Invece di proteggere la vittima, l’ha esposta a una seconda violenza. Invece di applicare i principi consolidati del diritto, ha ceduto a stereotipi e pregiudizi.
È tempo che il sistema giudiziario italiano faccia i conti con i propri limiti e si impegni concretamente per garantire alle vittime di violenza sessuale quella giustizia che meritano. Solo così potremo costruire una società in cui denunciare una violenza non significhi subire un secondo processo, questa volta come imputate della propria stessa vittimizzazione.
La giovane islandese ha avuto il coraggio di denunciare. Il sistema giudiziario ha avuto il coraggio di proteggerla? La risposta, almeno in primo grado, è stata drammaticamente negativa. Speriamo che l’appello abbia saputo restituire dignità non solo a questa vittima, ma al concetto stesso di giustizia.
Questo articolo è dedicato a tutte le vittime di violenza sessuale che hanno trovato il coraggio di denunciare, nonostante un sistema che troppo spesso le tradisce invece di proteggerle.
 
 
 
 
 
					









