Il Dovere Morale e Giuridico del Giurista: Quando il Silenzio Cessa di Essere un’Opzione – Avv. Concetta Sannino

Il Dovere Morale e Giuridico del Giurista: Quando il Silenzio Cessa di Essere un’Opzione

«Di fronte alle notizie sulla violazione sistematica e protratta del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali della popolazione civile di Gaza, il silenzio ha smesso da tempo di essere un’opzione. Come giuristi – sentiamo il dovere di ricordare che lo Stato italiano, per Costituzione e per legge, e con l’adesione a trattati e convenzioni, ha scelto la tutela dei diritti fondamentali e la persecuzione dei crimini internazionali». I giuristi si impegnano a leggere ogni giorno, nelle aule d’udienza e in quelle universitarie, il preambolo allo Statuto della Corte penale internazionale, «per testimoniare che le coscienze di chi ogni giorno contribuisce all’amministrazione della giustizia non sono indifferenti alle ingiustizie perpetrate nei confronti dei più deboli».

 

La recente comunicazione di un gruppo di giuristi italiani, che si impegnano a leggere quotidianamente il preambolo dello Statuto della Corte penale internazionale nelle aule di giustizia e universitarie, rappresenta un momento di profonda riflessione sul ruolo della comunità giuridica di fronte alle violazioni sistematiche dei diritti umani fondamentali. Questa iniziativa, nata dalla constatazione delle “violazioni sistematiche e protratte del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali della popolazione civile di Gaza”, solleva questioni cruciali sul rapporto tra diritto, coscienza e responsabilità professionale.

Il Fondamento Costituzionale dell’Impegno per i Diritti Umani

L’appello dei giuristi trova solide radici nell’ordinamento costituzionale italiano, che ha fatto della tutela dei diritti fondamentali e della cooperazione internazionale per la pace e la giustizia pilastri irrinunciabili del sistema giuridico nazionale.   L’art.10 della Costituzione Italiana stabilisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, creando un ponte diretto tra l’ordinamento interno e quello internazionale in materia di tutela dei diritti umani.

Ancora più significativo è l’art.11 della Costituzione, che non solo ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma impegna l’Italia a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. Questo precetto costituzionale non rappresenta una mera dichiarazione di principio, ma un vincolo giuridico che orienta l’azione dello Stato e, per estensione, di tutti coloro che operano nell’amministrazione della giustizia.

La dimensione costituzionale dell’impegno per i diritti umani trova ulteriore conferma nell’ art.3 della Costituzione, che riconosce la pari dignità sociale di tutti i cittadini e impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Questo principio, letto in chiave internazionale, estende la sua portata oltre i confini nazionali, abbracciando quella concezione universale dei diritti umani che costituisce il fondamento del diritto internazionale contemporaneo.

 Il riferimento al preambolo dello Statuto della Corte penale internazionale non è casuale, ma riflette il profondo legame che unisce l’ordinamento italiano al sistema di giustizia penale internazionale. L’Italia ha ratificato lo Statuto di Roma con la legge 12 luglio 1999, n. 232, assumendo così l’impegno a cooperare con la Corte nella repressione dei crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme.

Il codice penale italiano ha recepito questa dimensione internazionale attraverso specifiche disposizioni, estendendo la tutela penale alla Corte penale internazionale, ai suoi giudici, procuratori, funzionari e agenti. Questa norma testimonia la volontà del legislatore italiano di garantire piena protezione al sistema di giustizia internazionale, riconoscendone il ruolo fondamentale nella tutela dei diritti umani.

Il diritto alla tutela giurisdizionale costituisce un principio supremo dell’ordinamento costituzionale che non può subire limitazioni quando sia in gioco la tutela di diritti fondamentali violati da crimini contro l’umanità. Pertanto l’ordinamento italiano non tollera che la tutela dei diritti fondamentali possa essere sacrificata sull’altare di considerazioni di opportunità politica o diplomatica.

La definizione di crimini di guerra e contro l’umanità, si configura come “grave violazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei loro Protocolli addizionali, quando commessi nell’ambito di un conflitto armato internazionale o non internazionale”.

L’iniziativa dei giuristi italiani si inserisce in una tradizione consolidata che vede nella professione legale non solo un mestiere, ma una missione al servizio della giustizia e dei diritti fondamentali.

Il dovere di cooperazione nell’accertamento dei fatti rilevanti, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di protezione internazionale, impone al giudice di svolgere “un’attività istruttoria officiosa, dovendo esaminare la domanda alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente”,

L’impegno a leggere quotidianamente il preambolo dello Statuto della Corte penale internazionale rappresenta un atto di resistenza etica contro l’indifferenza e l’oblio. Il preambolo dello Statuto ricorda che “i crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme non devono rimanere impuniti” e che è necessario “porre fine all’impunità degli autori di tali crimini e contribuire così alla prevenzione di tali crimini”.

Questa pratica quotidiana assume un valore simbolico e sostanziale insieme: simbolico perché testimonia la volontà di mantenere viva la memoria e l’attenzione sui diritti umani; sostanziale perché contribuisce a formare una coscienza giuridica collettiva sensibile alle violazioni dei diritti fondamentali, ovunque esse si verifichino.

La comunicazione dei giuristi italiani si fonda sul principio dell’universalità dei diritti umani, che non conosce confini geografici, politici o culturali. Come chiarito dalla giurisprudenza italiana, i crimini contro l’umanità sono “lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali.

Il principio di non indifferenza che emerge dalla comunicazione non è solo un imperativo morale, ma trova fondamento giuridico nella stessa struttura dell’ordinamento costituzionale italiano.

La situazione a Gaza, che ha motivato l’iniziativa, richiama l’attenzione sul diritto internazionale umanitario e sulla protezione delle popolazioni civili nei conflitti armati. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i loro Protocolli addizionali stabiliscono principi inderogabili per la protezione dei civili, dei feriti, dei prigionieri di guerra e di tutte le persone che non partecipano direttamente alle ostilità.

Il diritto internazionale umanitario, come parte del diritto internazionale generalmente riconosciuto, entra automaticamente nell’ordinamento italiano attraverso la Costituzione all’art.10. Questo significa che ogni operatore del diritto italiano ha il dovere di conoscere e applicare questi principi, contribuendo alla loro effettività anche attraverso l’azione professionale quotidiana.

L’iniziativa dei giuristi italiani rappresenta una forma di testimonianza professionale che va oltre l’esercizio tecnico della professione. Leggere quotidianamente il preambolo dello Statuto della Corte penale internazionale significa affermare che il diritto non è neutrale rispetto alle violazioni dei diritti umani, ma costituisce uno strumento attivo per la loro prevenzione e repressione.

Questa testimonianza assume particolare valore in un momento storico in cui le violazioni dei diritti umani sembrano moltiplicarsi e normalizzarsi. La voce degli operatori del diritto, forte della propria competenza tecnica e della propria autorevolezza professionale, può contribuire a mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sui crimini internazionali, impedendo che l’abitudine generi indifferenza.

 La lettura del preambolo rappresenta quindi un esempio concreto di come la professione legale possa e debba assumere un ruolo attivo nella tutela dei diritti umani fondamentali. Il loro impegno quotidiano testimonia che il silenzio, di fronte alle violazioni sistematiche dei diritti umani, non è più un’opzione accettabile per chi ha scelto di dedicare la propria vita al servizio della giustizia. Quanto accaduto nelle aule di Giustizia   non è solo un gesto simbolico, ma un atto di resistenza civile e professionale che contribuisce a mantenere viva la coscienza giuridica collettiva. Questo impegno si fonda su solide basi costituzionali e giurisprudenziali, che fanno della tutela dei diritti umani un dovere non solo morale, ma anche giuridico per tutti gli operatori del diritto.

In un mondo sempre più interconnesso, dove le violazioni dei diritti umani in una parte del globo riguardano l’intera comunità internazionale, l’azione dei giuristi italiani rappresenta un modello di impegno professionale che merita di essere seguito e sostenuto. La giustizia non conosce confini quando si tratta di tutelare la dignità umana, e ogni giurista, nel proprio piccolo, può contribuire a costruire un mondo più giusto attraverso l’esercizio consapevole e responsabile della propria professione.

L’appello oggi letto ci ricorda che il diritto non è solo tecnica, ma anche e soprattutto servizio all’umanità. In questo servizio, il silenzio cessa davvero di essere un’opzione, e la voce della giustizia deve farsi sentire, chiara e forte, ovunque i diritti umani siano minacciati o violati.

CS

 

 

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