IL SESSO NON E’ UN CRIMINE. CONDIVIDERLO SENZA CONSENSO SI’. – Avv. Concetta Sannino

IL SESSO NON E’ UN CRIMINE. CONDIVIDERLO SENZA CONSENSO SI’.

 

Quando l’amore finisce, ma l’umiliazione resta

 

Ci sono ferite che non si vedono a occhio nudo. Ferite invisibili, che si annidano nel corpo e nella psiche, e che nascono da un gesto solo apparentemente “virtuale”: la diffusione non consensuale di immagini intime, spesso da parte di chi ci era più vicino. Un ex, un amico, un compagno. È questo il cuore del revenge porn, un crimine che colpisce sempre più spesso i giovani, e in particolare le ragazze.

 

Conosciuto anche come “pornografia non consensuale”, il revenge porn non ha nulla a che fare con il sesso. Ha a che fare con il potere, il controllo, la vendetta. E nella vita digitale di tanti adolescenti, si insinua come un’arma terribile, capace di devastare reputazioni, relazioni e salute mentale.

I numeri dietro lo schermo

Secondo dati recenti del Centro Nazionale Anti-Cyberbullismo, circa 1 ragazzo su 4 tra i 14 e i 18 anni ha ricevuto o inoltrato immagini intime di coetanei, spesso senza consenso. Il fenomeno è diffuso soprattutto nelle chat scolastiche e nei gruppi social, dove lo “scherzo” diventa virale in pochi secondi, e l’umiliazione si moltiplica.

 

Ma dietro ogni “foto girata” c’è una persona. Una ragazza che non esce più di casa. Un ragazzo che cambia scuola. Famiglie sconvolte. Psicologi che non bastano. E troppo spesso, un silenzio carico di vergogna

Cosa dice la legge

In Italia il revenge porn è reato dal 2019, grazie all’introduzione dell’articolo 612-ter del Codice Penale, nell’ambito del cosiddetto Codice Rosso. La norma punisce con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa fino a 15.000 euro chi:

diffonde o invia immagini o video a contenuto sessualmente esplicito,senza il consenso della persona ritratta,al fine di recarle un danno.

La pena aumenta se il fatto è commesso da un ex partner o da una persona legata affettivamente alla vittima. Eppure, pochissimi casi arrivano in tribunale, e ancora meno ottengono giustizia effettiva.

Perché? Per paura, per vergogna, per senso di colpa. Perché le vittime si sentono giudicate. Perché ancora oggi, in troppi, si chiedono: “Ma perché si è fatta fotografare?”. La domanda giusta è un’altra: “Perché qualcuno ha pensato di diffondere quella foto?”

Il nodo culturale: colpa o responsabilità?

Il revenge porn affonda le sue radici nella cultura del possesso e del giudizio morale. In quella visione per cui una ragazza che si mostra è “colpevole”, mentre chi diffonde è solo uno “stupido”. È la stessa logica che vede nel corpo femminile qualcosa da esibire o punire, mai da rispettare.

Ecco perché non basta una legge. Serve educazione emotiva e digitale, sin dalle scuole medie. Serve che i genitori parlino con i figli di sessualità, consenso, rispetto. Serve che i ragazzi sappiano che fidarsi non è sbagliato: è tradire la fiducia ad esserlo

Che fare se accade?

Se sei vittima o testimone di revenge porn, non restare in silenzio:

Non cancellare le prove: screenshot, messaggi, nomi dei gruppi.

Rivolgiti a un legale, a un centro antiviolenza o alla Polizia Postale.

Segnala i contenuti su tutte le piattaforme dove sono comparsi.

Puoi anche contattare il Telefono Rosa, la Rete D.i.Re o il servizio Stop Revenge Porn promosso da Meta e Telefono Azzurro.

Ricorda: non sei solo/a. E non è colpa tua!

QUINDI

Il revenge porn non è una “ragazzata”. È un crimine. Ma soprattutto, è lo specchio di una società che deve ancora imparare che il corpo di una persona non è mai una merce da esibire, né un’arma da usare.

Ai giovani dobbiamo dire: non abbiate paura della vostra sessualità. Abbiate paura di chi non conosce il rispetto.

 

 

Condividi l'articolo:

Leave a Reply